Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 27 giugno 2017

Libri di mare e di costa

C’è stato un tempo in cui l’Adriatico si chiamava Golfo di Venezia che andava ben oltre il Canale d’Otranto. Erano i secoli in cui la Serenissima dominava il Mediterraneo orientale, con navi di legno e di pietra, cioè issando il suo gonfalone anche su tante isole, dalla Dalmazia fino a Creta e Rodi. Un tempo ormai lontano, conclusosi definitivamente con la fine della Repubblica di Venezia nel 1797, ad opera di Napoleone.
Ma le pietre hanno spesso una memoria più duratura dell’uomo e proprio alla ricerca di quelle pietre serenissime si è messo qualche anno fa Paolo Ganz. Dapprima nella sua amata Venezia, poi lungo la costa istro-dalmata, infine nello Ionio e nell’Egeo, raccontando quest’ultima avventura in “La Grecia di isola in isola” (Ediciclo, 2017; pp 190, 15,00 €). Dall’Adriatico all’Egeo, riprendendo il titolo della prefazione in cui si chiarisce subito lo spirito e i mezzi del viaggio, il punto di partenza, “Venezia, circondata dalla sua Laguna, protetta dalle barene trapuntate di ghebi serpeggianti” e quelli di arrivo, le tante isole “veneziane” ionie, egee e levantine. Il libro è diviso in cinque parti, ognuna con un chiaro riferimento geografico che è il filo conduttore della narrazione. Si incomincia con Rodi, la grande isola che segna parte del confine tra il mar Egeo e il mar di Levante, l’isola dell’ibisco, l’isola in cui Ganz sperimenta subito i rischi e le delusioni, ma anche le nostalgie e le curiosità che ogni viaggio sottende. Soprattutto per il viaggiatore attento, esigente, magari anche un po’ troppo romantico. Spesso quando si ritorna in un luogo, “Per non affrontare la disillusione bisognerebbe disfarsi del ricordo, come sanno fare gli scaltri contrabbandieri salonichioti, certe donne levantine, i mercanti turchi” e, aggiungiamo noi, i vagabondi di tutti i tempi e i luoghi. Agli aeri l'autore preferisce le navi, spesso malmesse, come quella che collega Trieste con Corfù, dove lo accoglie il “solito odore di sentina; l'odore del viaggio” e dove sperimenta la paura del mare, l'angoscia delle profondità buie e sconosciute, del naufragio che però “attraverso il filtro della mia incoscienza libresca, mi appare come l'inizio di una nuova vita”. Altrettanto sgangherati sono i ferry greci che collegano con la terraferma e, tra loro, le cento isole, vicine e lontane, piccole e grandi, tutte oggi strettamente dipendenti dall'economia turistica, ma non per questo meno affascinanti. Su quei traghetti Ganz riscopre la sua mediterraneità che, citando Jean-Claude Izzo, ti fa credere di essere navigatore anche senza navigare.

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La recensione completa è stata pubblicata lunedì 26 giugno 2017 sul Corriere Romagna