Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

domenica 22 novembre 2015

Velabondismo

Corsica settentrionale

Di velisti ne esistono di diversi tipi; c'è il regatante, il crocierista e tanti altri, ognuno con le sue qualità e inevitabilmente i suoi tic. Ma cosa distingue un velabondo dagli altri? Le dimensioni della barca o il tempo a disposizione o il rapporto con gli elementi naturali? Probabilmente un mix di tutti questi elementi che, per semplicità, possiamo riassumere così: il velabondo è un eco-minimalista. Quindi, andando a vela e non disdegnando il remo, ha come primo canone l'accettazione delle condizioni imposte dal vento e dal mare. Non c'è quindi una precisa rotta, cadenzata da prestabilite tappe giornaliere, a prescindere dai voleri di Eolo e Nettuno. Il velabondo parte con una vaga ipotesi di viaggio, mutevole di ora in ora, di giorno in giorno, così come lo sono le arie e le correnti. Questo non significa praticare un ostinato primitivismo, dove a bordo non trovano posto telefono, tablet o gps, oppure dove il motore è assolutamente bandito, ma rifiuta di cadenzare il viaggio per soste su marina, magari prenotati in anticipo, trasformando un periodo di sognato vagabondaggio a vela in un frenetico, ansiogeno trasferimento a motore.

Quindi se deriva e tenda vi sembrano un modus navigandi troppo stoico, allora provate a imbarcarvi su un piccolo cabinato, sicuramente più epicureo. Noi lo abbiamo fatto d'estate, in tre, con un Dufour T6, piccolo ma solido e versatile, come per altro abbiamo avuto modo di verificare anche in questo periplo della Corsica settentrionale. A prua, oltre all'autovirante, avevamo un genoa per arie leggere e uno spinnaker; un fuoribordo, quattro tempi, da 5 cavalli per le manovre portuali e le prolungate bonacce. Siamo partiti da Bastia, il porto d'arrivo dei traghetti dall'Italia e capoluogo dell'Haute-Corse o Corsica Suprana, nella lingua corsa. Il bilinguismo è il primo e fortissimo segnale della duplice cultura di quest'isola, da sempre fieramente autonoma dalle sovranità continentali, genovese in passato, francese dalla seconda metà del Settecento. La Calista dei greci, così chiamata secondo Erodoto per la sua bellezza, malgrado gli aspri contrasti con la Francia, ha per paradosso dato i natali al più noto dei suoi generali, fattosi imperatore: Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio.
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Il reportage completo è pubblicato sul numero di novembre 2015 del mensile Bolina.

giovedì 12 novembre 2015

Geografie

"Itinerari letterari" è una pagina dedicata ai viaggi de "L'Indice dei Libri del Mese". Fa parte di uno spazio più ampio intitolato "Geografie", in cui vengono proposte riflessioni sulle lingue e sulle contaminazioni. Tra gli itinerari troverete anche la mia recensione dell'ultimo libro di Bjorn Larsson, tutto dedicato agli autori che hanno raccontato il mare e la sua "crudele meraviglia". Ci sono i viaggi in Italia di Simon Weil, le lettere dalla Siria di Freya Stark, le impressioni sul Lagos di Teju Cole, il pellegrinaggio da Londra a Istanbul di Patrick Leigh Fermor e tante altre recensioni di libri che descrivono il mondo, visto sempre con occhi critici e attenti.

L'immagine che accompagna questo post, ripresa dal sito de L'Indice, è un dettaglio di un quadro del pittore francese Joseph Henri Baptiste Lebasque.

venerdì 6 novembre 2015

Venerdì di magro

Chiuso l’EXPO, la pesca comunque continua! come la nostra passione per i piatti di pesce!  
Perciò noi continuiamo a raccontare le storie di pesci e pescatori. Convinti che i prodotti alimentari italiani di qualità, e il pesce è indubbiamente uno di questi, meritino grande attenzione, non solo in termini economici, ma anche culturali.  
Riprendendo il nostro primo post nel febbraio scorso, dove citavamo Paolo Conte, visto che noi “Siamo mangiatori di pesce, Ne facimmo na passione”, continuiamo “Spassiunatamente” questi “Venerdì di magro”.

“La pesca del riccio di mare ( Paracentrotus lividus) per la stagione 2015/2016 è consentita dal 1 novembre 2015 al 10 aprile 2016”, si legge sul recente decreto della Regione Sardegna. Una norma che sancisce per iscritto la comunque consueta stagionalità di una pesca locale di grandissimo valore. Esiste anche una normativa nazionale ma, come è giusto che sia, la gestione di questa specie è un classico esempio di come alcune attività di pesca debbano essere normate solo a livello locale. In una realtà articolata come quella mediterranea, fatta di particolarità ecologiche ed economiche, una corretta gestione può essere fatta solo a livello locale, sulla base di conoscenze puntuali.

Va comunque ricordato che la pesca, che rimane uno dei pochi mestieri di semplice raccolta, ha anche in Mediterraneo una tradizione normativa plurisecolare. Basterà qui ricordare che già XII secolo a Venezia venne istituita la “Giustizia Nuova” che si occupava anche dei calendari e degli strumenti della pesca o per andare a tempi post-unitari che è del 1877 la Legge che “regola la pesca nelle acque del demanio pubblico e del mare territoriale”. E’ quindi antica e sentita la necessità di normare le attività di pesca, in una logica di gestione sostenibile, diciamo noi oggi. E quindi che pesca, e successivo banchetto, sia! Anche del riccio di mare.

Il riccio lo si pesca in apnea per diletto a mano, con maschera e pinne, o professionalmente con le bombole. C’è poi la pesca tradizionale che in Sardegna si fa con lo specchio e la cannuga, cioè un’apposita asta. La leggenda vuole che ci siano ricci femmina, di colore violetto, e ricci maschi, neri. I primi sarebbero quelli buoni, gli altri no. In realtà si tratta di due specie diverse, entrambe buone da mangiare, con la differenza che il riccio femmina, cioè il Paracentrotus lividus, ha le gonadi più grandi. Queste “uova” sono la parte edule. Il loro sapore è molto intenso e lo si gusta appieno se mangiate crude. Per chi voglia invece condire la pasta è meglio non passarle in padella, ma basta il calore della pasta stessa a stemperarne il sapore, aggiungendo poi un filo d’olio ed eventualmente il prezzemolo o l’erba aglina per essere più originali. Se poi volete per forza metterci anche l’aglio, allora aggiungete anche questo da crudo.

Sul blog de La Stampa, troverete tanti altri pesci!

lunedì 2 novembre 2015

Biblioteca di mare e di costa

C'è anche un romagnolo, Tommaso Garzoni scrittore e canonico per l'ordine che nel Cinquecento reggeva la basilica di Santa Maria in Porto a Ravenna, nella intrigante e, per certi aspetti misteriosa, storia della bussola. Perché nel 1583 fu tra i primi a descrivere minuziosamente il “bussolo con la calamita”. Quel bussolo che conteneva e contiene anche la rosa dei venti, a quattro, otto, sedici o trentadue petali. “Gli sedici venti principali, del soffio del quale deve intendersi benissimo il nocchiere”, scriveva Garzoni. Anche oggi il marinaio, piccola o grande che sia la barca, deve avere una certa dimestichezza con i venti, almeno per direzione e intensità. Se poi ne conosce anche le caratteristiche, in relazione alla geografia dei luoghi su cui spirano, sarà certo un bene. Per chi poi ne volesse sapere qualcosa di più, sul versante mitologico e storico, ci sono diversi libri a cui si è andato ad aggiungere recentemente quello di Enrico Gurioli, giornalista e appassionato di mare, intitolato “Il piccolo libro dei venti”. Gurioli ha raccolto miti e storie legate a un elemento meteorologico di grande importanza “che si sente, si ascolta”, ma non si vede, se non nei suoi effetti. Più precisamente l'autore ha raccontato i venti del Mediterraneo, gli unici con un nome proprio, aggiungiamo noi. Il libro, corredato da immagini tematiche, è diviso in tre parti. Nella prima l'attenzione si focalizza sulla rosa dei venti, nella seconda sulle stagioni, nella terza sulle geografie. Nella prima parte ci sono pagine dedicate a una rara reliquia anemoscopica, cioè utile a indicare i venti, conservata a Pesaro, al Museo Oliveriano. E' chiamato Anemoscopio di Boscovich, dal nome di un illustre riminese acquisito. Fu infatti l'astronomo gesuita Ruggero Boscovich, nato a Ragusa, che alla metà del Settecento misurò l'arco di meridiano tra Roma e Rimini, a interpretare il significato di quel disco di pietra d'età romana, dove si leggono i nomi dei venti. Infine non potevano mancare numerose pagine dedicate al più noto dei venti adriatici, la Bora, che continua imperterrita a scompaginare anche le giornate dei velisti, come hanno potuto verificare ancora una volta qualche settimana fa a Trieste in occasione dell'ultima edizione della Barcolana. Perché, nonostante le previsioni siano sempre più precise, l'umore della Bora non è ancora del tutto prevedibile.

Enrico Gurioli, 2015. Il piccolo libro dei venti. Pendragon, Bologna, pp 128, € 11,00.

Pubblicata oggi, lunedì 2 novembre 2015, sul Corriere Romagna.