Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 20 giugno 2013

Anemofilia

Sabato 22 giugno 2013, alle ore 19.30
in occasione del Raduno delle Barche con Vele al Terzo al porto di Rimini, Piazzale Boscovichleggerò alcune pagine del mio ultimo libro,  “Anemos. I venti del Mediterraneo”, e quelle di altri autori che hanno raccontato i venti dell’Adriatico, tra cui Giovanni Comisso, Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Giulietti, Dino Brizzi e Giulio Grimaldi.
L'iniziativa è organizzata dall'Associazione Vele al Terzo di Rimini.

Sugli stessi temi, anticipo di seguito una parte dell'articolo uscito lunedì scorso sul Corriere Romagna, il primo della rubrica estiva intitolata "Viva il vento", pubblicata ogni lunedì nell'inserto "Aria di mare".



Se, come dicevano un tempo i marinai, su ogni mare del mondo il vento scrive, in Adriatico i suoi racconti sono imprevedibili e bizzarri, fin dai tempi antichi. Non che le burrasche siano più violente, ma sono difficilmente prevedibili, non che le bonacce siano più estenuanti, ma sono quotidianamente ricorrenti. In Adriatico i venti sono mutevoli e umorali, possono scatenarsi o placarsi con estrema rapidità. Spesso in ventiquattrore spirano da ogni quadrante, con forza altrettanto variabile. Emblematici i caratteri del Garbino, vento sud-occidentale, rafficato e volubile, con effetti meteorologici e psicologici, assai noti in Romagna.
...
I venti erano per i marinai indispensabili compagni di viaggio, temuti e venerati, come si conviene a  dei che hanno in mano il destino. In Adriatico agli otto venti principali, che hanno tutti un nome proprio da scriversi rigorosamente con la maiuscola come nei vecchi portolani, se ne aggiunge un nono: la Bora. La sua tana è nascosta tra le selve balcaniche, da cui discende furiosa, mostrandosi con due volti, chiaro o scuro, a seconda dello stato del cielo. Tutti quelli che hanno navigato in Adriatico ne hanno fatto esperienza, anche durante l'estate. Lo ricorda Giovanni Comisso in uno dei suoi racconti marinareschi, intitolato “Rade di fortuna”. “Poi la bella estate, riserva sempre impensate burrasche di Bora. Bora che, mascherata da temporale notturno, scende giù dagli alti monti di Segna e rimane per qualche giorno ad agitare le acque”.
Malgrado l'Italia non abbia avuto un grande narratore pelagico, come Joseph Conrad o Hermane Melville, diversi sono gli autori che hanno prestato attenzione ai venti, favorevoli o avversi, comunque determinati nelle vicende marinaresche. Nel romanzo adriatico _ “Maria Risorta” di Giulio Grimaldi, scritto ai primi del Novecento, bonacce, brezze e burrasche scandiscono il tempo delle partenze, del lavoro e dei ritorni. Momenti lieti, quando “La Maria Risorta filava docile, con il trinchetto e la maestra gonfie di un buon Maestrale, sopra un mare turchino e tutto leggermente ondulato che si estendeva a perdita d'occhio, senz'altro rumore che uno sciaguattar lieve contro i fianchi robusti e il cigolio sordo delle scotte dei ghindazzi”. Attese trepidanti sui moli di donne e anziani. “Venne la notte; e molti poveri cuori aspettavano ancora, mentre un soffio di disperazione passava sulle casupole del piccolo porto, e continuava sui moli quella vedetta angosciosa, tra il sibilo del vento e il boato del mare”.
Anche a noi che alziamo la vela per piacere, i venti insegnano ogni giorno qualcosa: pazienza, determinazione e rispetto, prima di tutto. Cazzando e lascando, alzando e ammainando, cerchiamo un'antica armonia tra la vela e l'aria, indispensabile per portare la nostra barca e i nostri sogni lontano.