Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 6 ottobre 2011

Il nostro mare quotidiano


E' tempo di Barcolana, è tempo di far vela.
Vela intesa come attività sportiva, come svago lungo un giorno, una settimana, un viaggio. In breve vela da diporto. Quando nel 1969 prese il via la prima Barcolana, era ancora vivo in tutti gli appassionati il ricordo della vela da lavoro, al servizio del traffico e della pesca. Allora “far vela” significava innanzitutto partire nell'accezione marinaresca, ossia navigare. Ancora oggi per altro la locuzione resiste tra i pescatori più anziani e capita spesso di sentir dire, malgrado tutte le barche siano motorizzate da oltre mezzo secolo, “Abbiamo fatto vela (cioè navigato) per due ore, prima di raggiungere il luogo dove sono state calate le reti”. I mille sofisticati dettagli tecnici e le altrettanto numerose implicazioni sportive, non hanno eliminato alcune ritualità. Innanzitutto alziamo una vela, un gesto arcaico con valori anche simbolici perché, consciamente o inconsciamente, ogni volta rinnoviamo un rito di appartenenza. Entriamo a far parte di quella antichissima genia di marinai che hanno fatto vela verso il famigliare Adriatico, il vasto Mediterraneo o l'infinito Oceano. Se, rispetto al passato, differenti sono circostanze, motivazioni e materiali, simili rimangono alcune preoccupazioni. Tutti alzando una vela ci interroghiamo sul vento, su direzione, forza e durata di questo dio umorale, capace di dispensare preziosa grazia o duro affanno. Certo abbiamo satelliti e radar che guardano meglio di noi il cielo ma, in ultimo, la scelta di lascare o cazzare, di tenere tutta la tela o terzarolare, spetta a noi. La vela, piccola o grande, la rotta breve o lunga, chiede sapienza e prudenza, manualità e fatica, tutte qualità antiche.
Della vela il Golfo di Trieste è da tempo immemorabile dimora, anche nella più recente versione diportistica. Lungo e probabilmente lacunoso sarebbe l'elenco di manifestazioni e circoli, timonieri e prodieri, barche e cantieri, maestri d'ascia e progettisti. Ma alcune pagine di romanzi triestini possono restituire se non la storia, alcune emozioni di questa passione marinara. Nei “Ricordi istriani”, di Giani Stuparich, il mare, il remo e la vela sono paesaggi del quotidiano. “La vela impigrisce, - aveva affermato papà, - marinaio che non conosce remi è mezzo marinaio”, si ripete tra sé uno dei protagonisti, che da anni sogna quell'esperienza. “Quanto avevamo sospirato quella vela! Fino allora c'era toccato di faticare sui remi”. La vela è gioia pura, quando i venti sono favorevoli e comunque è quasi sempre infinitamente meno faticosa e più rapida del remo. “Ora finalmente avremmo avuto la vela. Il riposo, la gioia di starsene distesi a paiolo, con la barra del timone sotto braccio, e di sentirsi filare, volare sull'acqua con le ali”. L'amatissima pesca, per quel ragazzo e suo fratello, passarono immediatamente in secondo piano, tanto era l'entusiasmo per l'agognata vela. Poco importa se si trattava di una semplice battella a fondo piatto e non di un guzzo o una passera. Qualche anno dopo, nelle tragiche trincee della grande guerra, i due fratelli ricordavano “sommessamente la nostra barca a vela, le estati passate a Umago. La vela per noi significava riscatto, estro, libertà”.
La vela entra anche in alcune pagine de “L'onda dell'incrociatore”, di Pier Antonio Quarantotti Gambini. E' in uno splendido autunno, in giorni d'ottobre luminosi come quelli appena trascorsi, che Ario, uno dei protagonisti, “prese un'ubriacatura di sole e d'aria marina. Appena poteva, balzava in barca e dava al vento la vela. Era bello scivolar fuori dal mandracchio, tanto veloci e leggeri che nella manovra lo scafo sembrava fuggirgli via”. Bordeggiava dentro il porto per guadagnare il mare libero, che regalava “i sobbalzi, gli spruzzi, le schiaffate dell'acqua a prua”. Le sue avventure adolescenziali sono un continuo intrecciarsi con esperienze marinaresche, in cui la vela e il remo sono fondamentali, non solo nei risvolti sportivi. Gli piaceva uscire solo, “Filava stringendo la vela, come in regata. E spesso, tra mare e cielo, si metteva a cantare”.
Le migliaia di vele di domenica credo sarebbero piaciute a Stuparich e a Quaranttotti Gambini; di certo i loro ragazzi avrebbero cercato imbarco, per condividere le ansie e le gioie sempre nuove che regala il mare e il vento.

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