Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 23 giugno 2011

Insulomania



Fin dalla notte dei tempi, chi va per mare sogna di approdare in un'isola, che si chiami Itaca, Ogigia, Atlantide o Utopia, Taprobana, Eleuthera. Isole reali o mitiche, immobili o erranti, emerse o sprofondate. Isole marine, lagunari, lacustri o fluviali. Isole vulcaniche, coralline, continentali, addirittura metamorfiche, come nel racconto di Ovidio, in cui Perimele, una bellissima naiade, viene trasformata in isola da Nettuno. Da millenni, l'isola mediterranea per eccellenza è Itaca, “chiara nel sole”, quella che, malgrado le cento disavventure e le altrettante tentazioni, rimane l'agognata meta di Odisseo. Ma altrettanto seducente per “l'eroe multiforme che tanto vagò”, e per tutti noi, è l'isola di Ogigia, dove abita “la figlia di Atlante, l'insidiosa Calipso dai riccioli belli, dea tremenda”. La ninfa gentilmente lo accolse, lo curò e lo nutrì, promettendogli che “lo avrebbe reso immortale e per sempre senza vecchiaia”. Agli occhi del navigante, l'Odissea è anche il primo isolario della storia, un vero e proprio catalogo corografico di alcune delle più belle e importanti isole mediterranee. Toponimi e immagini concrete giunte fino a noi, quali la già citata Itaca irta di rocce, Eolia regno del re dei venti, l'ampia Creta, la solare Trinacria, la selvosa Zacinto, altre invece avvolte nel più fitto mistero quali oltre ad Ogigia riconoscibile dall'odore del fumo di tenero cedro e di tuia, Eea l'isola di Circe, Dulichio ricca di grano, Scheria dalle fertili zolle.
Racconti che fanno ipotizzare che anche Omero fosse affetto da “insulomania”, la passione di coloro che sono attratti irresistibilmente dalle isole, secondo la definizione di Ernesto Franco. Di certo tutti i marinai consciamente o inconsciamente sono insulomani, non fosse altro che la parola greca “nesos”, isola, significherebbe in origine “ciò che naviga”. Chi allora più del velista è innanzitutto un insulomane, follemente attratto da quell'isola che chiamiamo vela? A riprova di ciò si pensi che la passione è spesso inversamente proporzionale alla dimensione della barca. Più piccola è l'isola navigante, più grande è l'insulomania. Ma questa sindrome va ben oltre la ristretta cerchia dei marinai, perché l'isulomania può colpire anche gente che non solo non sa niente di scotte e cime, ma nemmeno di acqua: sognatori, lettori o oggi, ai tempi di Google Earth, i più numerosi web-nauti.
Sarà bene quindi chiarire che di insulomania, o per essere più precisi di “islomania” utilizzando il termine inglese originario, scrisse per la prima volta Lawrence Durrell negli anni Cinquanta del Novecento. “... ho trovato una volta un elenco di malattie non ancora classificate dalla scienza medica; tra queste compariva il termine “isolomania” (nella traduzione italiana), descritta come un'afflizione dello spirito rara, ma per nulla sconosciuta. C'è gente, ..., che trova le isole in qualche modo irresistibili. La semplice consapevolezza di trovarsi su un'isola, un piccolo mondo circondato dal mare, provoca in loro un'inspiegabile ebrezza. Questi “isolomani” nati, ..., sono i discendenti diretti degli abitanti di Atlantide, e il loro vivere da isolani altro non è che un inconscio anelare all'Atlantide perduta ...” .

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Il racconto completo è pubblicato sul mensile BOLINA n.287 di Giugno 2011

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