Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 7 ottobre 2010

Il nostro mare quotidiano

La fatica, piccola o grande, di issare una vela è da millenni il sacrificio che l’uomo rende alla Natura per ingraziarsi i venti.

Anche quest'anno, come da oltre quarant'anni, a Trieste si rinnova la grande festa della vela, chiamata Barcolana.
Le banchine di questa splendida città che si specchia nell'Adriatico, diventano per una settimana il libero proscenio di migliaia di vele, di decine di migliaia di marinai di lungo corso o solo per un giorno. Per tutti la regata domenicale è l'occasione per ritrovarsi, confrontarsi, chiacchierare sulla comune, grande passione della vela.
Nel gergo marinaresco vela sta per nave, “piegar le vele” significa finire una navigazione come qualsiasi altro lavoro, “far vela” equivale a partire, con un più intenso significato malinconico. “Andare a gonfie vele” è ancora in uso, a oltre mezzo secolo dalla definitiva sostituzione della vela con il motore sulle barche da lavoro, a testimonianza dell’efficacia figurativa di questo modo di dire. Sono caduti in oblio invece la maggior parte dei quasi trenta verbi legati al sostantivo. Se issare o ammainare sono abbastanza noti, orzare o poggiare sono termini da velisti, mentre inferire, relingare, murare, cappeggiare, bracciare, sono ormai sconosciuti anche a chi va a vela.
Quadra era la forma della prima vela, forse di foglie di canne intrecciate, poi di fibra di lino, seguita dalla canapa e dal cotone. All'evolversi dei materiali si affiancò quello delle forme geometriche, triangolari o trapezoidali, ognuna con caratteristiche proprie, con prestazioni sempre migliori. Quadre, latine, auriche, al terzo, è solo la più semplice della ripartizione delle differenti vele che venivano armate sulle barche, più o meno antiche. Randa marconi e fiocco, quelle più comuni oggi. Maestra, trinchetta, volante, gabbia, velacci, flocco, controflocco, coltellaccio, belvedere, e altre decine di nomi ancora, erano in uso sulle ultime, grandi e veloci, navi da trasporto. Quella della vela è una storia plurimillenaria, una costante evoluzione di forme, tessuti, tecniche, un viaggio lavorativo interrotto dal motore una cinquantina di anni fa, ma che forse riprenderà in un futuro neanche tanto lontano.
L'enciclopedica complessità di forme e tecniche, di avventure e storie, ancora oggi dissolve felicemente nel semplice, silenzioso, piacere di farsi portare dalla vela da un porto a un altro, di correre il mare in completa armonia con la natura, come uccelli nel vento. La vela si alza con la prua al vento, si drizza prima con forza, si cazza poi a segno a seconda della rotta che si vuol tenere, vento e mare permettendo. La barca come per incanto prende la giusta inclinazione e comincia a muoversi, il timone da appendice morta diventa viva, sensibile, indispensabile. Quando poi il vento supera una certa intensità, il marinaio sa che è opportuno ridurre la tela: terzarolandola o sostituendola con una più piccola. Le vele si issano e si ammainano; i garocci del fiocco scivolano sullo strallo, la relinga della randa segue l'inferitura, la trozza della vela al terzo scorre sull'albero. In antica armonia, come ali di uccelli, le vele coniugano al meglio le istanze della nave con le leggi del vento, portando lontano uomini e merci, sogni e idee.

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